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21 giugno 2011

When You're Strange di Tom DiCillo.

Ha ragione chi dice che i Doors abbiano lasciato percepire molto più di quanto hanno fatto vedere. Nella sua intensa ma limitata (se paragonata ad altri gruppi) storia artistica la band di Jim Morrison, grazie al suo leader-sciamano, ha esplorato territori musicali e non che, a distanza di quarant'anni, continuano a fomentare un immaginario che si arricchisce di nuovi tasselli; i quali, maledizione, ogni volta avvicinano asintoticamente alla soluzione del mistero senza mai toccarlo.

Il documentario When You're Strange di Tom DiCillo, regista che si muove a suo agio nel cinema indie hollywoodiano, è uno di quei tasselli: dopo il celebre - e discusso – film di Oliver Stone, l'enigma-Doors è affrontato da un'ottica singolare e, a differenza del film del ‘91, stavolta ha ricevuto la benedizione dell'ex-tastierista Ray Manzarek, in aperta polemica col film interpretato all'epoca da Val Kilmer. Premiato ai Grammy come ‘Best long form music video' e realizzato interamente con filmati d'epoca senza ricorrere alle solite interviste postume, When You're Strange è il racconto, attraverso la voce di Johnny Depp, dei sei anni di attività della band (1965-71), ripercorrendo un successo nato ai tempi dell'UCLA e finito in un albergo parigino dove il Re Lucertola morì.

Di fronte a queste operazioni è sempre lecito chiedersi: qual è il valore di un documento che vuole offrire anche uno spaccato di american life negli anni più tormentati? E ancora: cosa aggiunge all'attuale stato dell'arte? DiCillo cala lo spettatore nello spirito del tempo, come se le immagini fossero state girate ‘a caldo': niente interviste al passato prossimo e inserti narrativi a mo' di fil rouge, ma un ricco lavoro di ricerca che segue la vicenda umana e artistica nel suo farsi - e disfarsi. Il risultato è convincente e il valore della pellicola esaltato dagli spezzoni restaurati del corto che lo stesso cantante girò ai tempi dell'UCLA: questi inserti al limite dell'onirico, tratti da HWY: An American Pastoral, aprono il film con la parabola esistenziale di un Morrison alla guida su una strada deserta.

Merito di DiCillo è aver raccontato il leader dei Doors anche attraverso gli altri membri, soffermandosi sui comprimari per completare il puzzle del Protagonista. Ma non c'è mitizzazione o intento agiografico anche se alcune immagini (il cerino che si spegne, il simbolismo delle scene tratte da HWY che voglion suggerire un percorso di lettura) scadono nel didascalico; inoltre, lascia l'amaro in bocca il finale che constata l'inaccessibilità del mistero e si congeda con un banale "Si brucia solo chi si è acceso per davvero", recitato da un Morgan che ha sì ‘irrobustito' i testi dell'edizione italiana ma che non ha il pathos per vivificare quello che, ai detrattori, parrà il solito mix di poesia, sesso ed Lsd.

Al pari delle ‘porte della percezione' della poesia di Blake che ispirarono Morrison, anche il documentario di DiCillo si limita a indicare una strada. Come nel film di Stone non si riesce ad oltrepassare quella Soglia, ma il risultato è godibile e, a conti fatti, si può dire che la partita fiction-documentario finisce con un onesto 1-1.