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21 giugno 2011

When You're Strange di Tom DiCillo.

Ha ragione chi dice che i Doors abbiano lasciato percepire molto più di quanto hanno fatto vedere. Nella sua intensa ma limitata (se paragonata ad altri gruppi) storia artistica la band di Jim Morrison, grazie al suo leader-sciamano, ha esplorato territori musicali e non che, a distanza di quarant'anni, continuano a fomentare un immaginario che si arricchisce di nuovi tasselli; i quali, maledizione, ogni volta avvicinano asintoticamente alla soluzione del mistero senza mai toccarlo.

Il documentario When You're Strange di Tom DiCillo, regista che si muove a suo agio nel cinema indie hollywoodiano, è uno di quei tasselli: dopo il celebre - e discusso – film di Oliver Stone, l'enigma-Doors è affrontato da un'ottica singolare e, a differenza del film del ‘91, stavolta ha ricevuto la benedizione dell'ex-tastierista Ray Manzarek, in aperta polemica col film interpretato all'epoca da Val Kilmer. Premiato ai Grammy come ‘Best long form music video' e realizzato interamente con filmati d'epoca senza ricorrere alle solite interviste postume, When You're Strange è il racconto, attraverso la voce di Johnny Depp, dei sei anni di attività della band (1965-71), ripercorrendo un successo nato ai tempi dell'UCLA e finito in un albergo parigino dove il Re Lucertola morì.

Di fronte a queste operazioni è sempre lecito chiedersi: qual è il valore di un documento che vuole offrire anche uno spaccato di american life negli anni più tormentati? E ancora: cosa aggiunge all'attuale stato dell'arte? DiCillo cala lo spettatore nello spirito del tempo, come se le immagini fossero state girate ‘a caldo': niente interviste al passato prossimo e inserti narrativi a mo' di fil rouge, ma un ricco lavoro di ricerca che segue la vicenda umana e artistica nel suo farsi - e disfarsi. Il risultato è convincente e il valore della pellicola esaltato dagli spezzoni restaurati del corto che lo stesso cantante girò ai tempi dell'UCLA: questi inserti al limite dell'onirico, tratti da HWY: An American Pastoral, aprono il film con la parabola esistenziale di un Morrison alla guida su una strada deserta.

Merito di DiCillo è aver raccontato il leader dei Doors anche attraverso gli altri membri, soffermandosi sui comprimari per completare il puzzle del Protagonista. Ma non c'è mitizzazione o intento agiografico anche se alcune immagini (il cerino che si spegne, il simbolismo delle scene tratte da HWY che voglion suggerire un percorso di lettura) scadono nel didascalico; inoltre, lascia l'amaro in bocca il finale che constata l'inaccessibilità del mistero e si congeda con un banale "Si brucia solo chi si è acceso per davvero", recitato da un Morgan che ha sì ‘irrobustito' i testi dell'edizione italiana ma che non ha il pathos per vivificare quello che, ai detrattori, parrà il solito mix di poesia, sesso ed Lsd.

Al pari delle ‘porte della percezione' della poesia di Blake che ispirarono Morrison, anche il documentario di DiCillo si limita a indicare una strada. Come nel film di Stone non si riesce ad oltrepassare quella Soglia, ma il risultato è godibile e, a conti fatti, si può dire che la partita fiction-documentario finisce con un onesto 1-1.

14 giugno 2011

Limp Bizkit, ecco il singolo Gold Cobra


Per il lancio del nuovo album, i Limp Bizkit hanno svelato on-line la titletrack di Gold Cobra.


Un singolo nel classico stile della band di Fred Durst che, questa volta, sembra non aver voluto rischiare con sperimentazioni e nuovi sound. Sarà così anche il resto del disco?


Aerosmith, ufficiale ritorno in studio





















Gli Aerosmith tornano in studio per registrare il nuovo album.
Questa volta è ufficiale e Joe Perry ne ha dato conferma dopo gli attriti con il leader Steven Tyler.


"Tutto il gruppo ha intenzione di entrare in studio al fianco diJack Douglas nella seconda settimana di luglio per il nuovo album degli Aero" ha scritto su Twitter due giorni fa.

La band aveva già mosso qualche passo nella realizzazione del disco all'inizio del 2011 ma il rapporto burrascoso tra Tyler e Perry aveva messo il progetto in stand by.

Ci sono già dei titoli di brani che finiranno in scaletta, Bobbing For Piranha, Asphalte Legendary Child

08 giugno 2011

Crescere artisti nell'epoca dei talent un'alternativa è il RockNrolla Village

Un laboratorio professionale dove far nascere e crescere i cantanti del futuro. A metà tra scuola e società di consulenza, il Village propone percorsi di tre anni con l'obiettivo di produrre demo e videoclip professionali

Un artista non nasce dal nulla e il talento va coltivato. Sembrano banalità, ma nell’epoca dei talent show e dei fenomeni del web, a volte capita di dimenticarlo. Proprio per scoprire e far crescere gli artisti di domani nasce RockNrolla Village, una ‘struttura’ che mette insieme lezioni di canto e musica; uno studio di registrazione; sale prove; e l’assistenza di una società di consulenza manageriale. Il tutto per un percorso che in tre anni porterà gli aspiranti artisti a produrre un demo e un videoclip professionale.

Nessun sogno facile però: “Il nostro percorso non è per tutti - spiega Sara Di Carlo, director publishing di Almost Famous, una delle società che hanno creato il Rnr Village - non ci interessa illudere nessuno. Stiamo facendo delle audizioni per selezionare chi ha davvero talento: saranno persone su cui decidiamo di investire e quindi dobbiamo crederci noi per primi”.

Che cos’è. Dietro al Village ci sono diverse società, ognuna con competenze diverse: AlmostFamous, motore dell’iniziativa che si occupa di produzione e ufficio stampa, Basix Communication, che realizza i videoclip, l’associazione culturale Campo Hobbit, la Top Records, Garage Inc. e la Music Factory Academy.

Le attività della scuola sono concentrate a Milano, ma non c’è “obbligo di residenza”: gli artisti che entreranno nel progetto potranno contare su un percorso personalizzato, in cui saranno i consulenti a spostarsi in caso di necessità. Niente orari fissi o lezioni obbligate: le stesse esigenze potranno variare nel tempo, magari concentrandosi più sugli aspetti vocali e musicali in una prima fase per poi spostarsi più su una consulenza sull’immagine.

“Ma quanto mi costa?” Domanda più che legittima: sono previsti un contratto d’esclusiva per tre anni e una quota mensile intorno ai 200 euro: “Dobbiamo tutelarci - continua Di Carlo - noi investiamo sui nostri artisti ma non sarebbe un modello sostenibile senza questi due elementi”. In cambio, alla fine del percorso è garantita la produzione di un demo e di un videoclip, due chiavi importanti per entrare in un mondo molto competitivo. Tutto questo senza per forza rimanere abbandonati a se stessi: “Alla fine dei tre anni - conclude Di Carlo - valuteremo il percorso e le possibilità concrete dell’artista per continuare eventualmente la collaborazione” e quindi produrlo e promuoverlo di fronte alle major discografiche. Chi invece preferirà muoversi autonomamente avrà comunque in mano il proprio demo e il videoclip.

Il progetto è stato già avviato, i provini sono in corso, ma il vero semaforo verde sarà a settembre, quando cantanti e musicisti inizieranno il loro percorso. Chi fosse interessato, può contattare AlmostFamous (il sito ufficiale 1).

07 giugno 2011

Keith Richards - Before They Make Me Run

Lo hanno definito "l'uomo bianco più nero del mondo" o "il riff umano", solo per sottolineare il suo sconfinato talento con la chitarra. Lui ci ha messo la trasgressione e una personalità da rockstar che in pochi sono riusciti ad affermare nella storia del Rock and Roll senza passare a miglior vita prima del tempo.

Keith Richards è una leggenda vivente, un sopravvissuto al successo proprio grazie agli eccessi: un uomo tutt'altro che irrisolto con ancora la forza di trasmettere con entusiasmo la propria storia. Lui è un Rock Vibra.

A raccontare l'affascinate vita di uno dei chitarristi più amati della storia del rock ci ha pensato un veterano del giornalismo musicale come Kris Needs in “Keith Richards - Before They Make Me Run” edito in Italia da Dalai editore: in 25 anni ha regolarmente intervistato e seguito il suo amico Keith e i Rolling Stones realizzandone un ritratto sincero ed appassionato.

Attraverso il materiale d'archivio, le interviste e la sua sconfinata conoscenza della discografia di una delle band più amate della storia del rock, Needs delinea il profilo di un uomo complesso che nel corso degli anni è entrato nel mito: dall'immagine di ragazzo figlio della classe operaia inglese innamorato del blues a quella di star trasgressiva che ha rischiato la vita con le droghe ma che alla fine ha trovato la propria redenzione nella musica.

Il volume di 564 pagine è impreziosito da foto rubate dai concerti storici e dai momenti di vita privata di Richards che completano l'immagine di colui che in molti ritengono "l'anima dei Rolling Stones".

23 maggio 2011

Ben Harper - Give Till It's Gone

























Non riesco a essere cattivo con Ben Harper, nemmeno drastico. Gli concedo sempre una chance, lo giustifico, lo capisco anche se da anni non ci regala un disco decisivo e a questo punto lo storyboard ormai è chiaro, il nostro ex ragazzo ex promessa sarà sempre così - un incompiuto. Non riesco a volergli male perché è uno che si butta, ha una sua autenticità, e ama il rock in maniera appassionata come non usa più. Però c'è un salto troppo grande tra le cose annunciate e quelle ascoltate, tra le smanie che si traducono in uno-due dischi comunque ogni anno e la messa a fuoco precisa che uno vorrebbe da un artista arrivato ormai alle soglie dei vent'anni di produzione.

"Ho voluto creare un suono fresco che allo stesso tempo fosse legato a tutto quello che ho sempre fatto". La promessa questa volta suona così. "Non avevo mai realizzato un disco che scandisse in questo modo la linea del tempo - è l'espressione musicale più onesta che potessi realizzare". Chissà. "Il rock & roll non è mai stato così libero come adesso, in tutti i sensi". Fosse vero.

Alla fine Give Till It's Gone è un disco piuttosto ordinario, un mosaico di struggenti luoghi comuni della storia rock con chitarre infiammate, voce abrasiva e tutto il campionario di onore, amore, fede, lealtà, pensiero positivo, volontà che un rocker "politicamente corretto" ama mettere in campo. Meno velocità rispetto agli album con i Relentless 7 ma gusto comunque per suoni grezzi, sporchi, per macchie e nodi. Nobili fantasmi aleggiano nei dintorni, da Roy Orbison, il cui ricordo ha scatenato Don't Give Up Me Now, a Neil Young, che ha ispirato Rock & Roll Is Freecon la scintilla della sua Rockin' In The Free World. Un paio di questi spettri sono in carne e ossa e si chiamano Jackson Browne, che ha messo a disposizione il suo studio e collaborato nella malinconica Pray That Our Love Sees The Dawn (una delle rare ballads) e Ringo Starr, che si ascolta in Spilling Faith e nella jam nata sulla coda del pezzo, Get There From Here.

"Il tema dura meno di un minuto e la coda invece un'ora!", ha scherzato il vecchio scarafaggio, centrando con una battuta delle sue uno dei problemi dell'album: ci sono la voglia, l'energia, il sacro furore, mancano giusto le canzoni.

02 maggio 2011

Pistoia Blues 2011, dall'8 al 10 luglio






Saranno gli Skunk Anansie ad aprire la tre giorni del Pistoia Blues in programma dall'8 al 10 luglio 2010. Si tratta della prima volta sul palco di Piazza Duomo per la formazione inglese capitanata da Deborah Dyer.

Sarà poi il turno di Ray Manzarek e Robby Krieger dei Doors di essere protagonisti della serata di sabato 9 luglio. Nel 2011 ricorre il quarantennale della scomparsa di Jim Morrison e i due compagni Ray Manzarek e Robby Krieger, rispettivamente tastierista e chitarrista della band, hanno deciso di celebrare e commemorare il vecchio amico con questa speciale esibizione.

Gran finale con Lou Reed, l'ex leader dei Velvet Undergound, che sarà in concerto a Pistoia domenica 10 luglio e si esibirà con una line-up allargata comprensiva di ottoni, tastiere e pianoforte per ripercorrere il suo repertorio degli anni ‘70.

I biglietti per le tre diverse serate sono già in vendita on-line ad un prezzo compreso tra i 30 e i 65 euro.

Alcune Riflessioni su Osama by Matias Nahuel Lorenzo

La prima notizia che ho letto questa mattina è stata quella della "presunta morte di Osama Bin Laden".

Una mattina ti svegli o come nel mio caso esci dal lavoro e ti vedi la foto di una persona con un buco in testa...

mmmm ok e allora? la vita umana ha perso tutto questo valore? ma veramente?

negli stati uniti folle e migliaia di persone si sono riversate nelle strade a festeggiare...

la morte di una persona può rappresentare veramente la gioia così spontanea, compulsiva e condivisa da parte di una nazione, popolo ma in questo caso anche di cultura nel suo insieme che si riferisce ovviamente a quella occidentale.

Ovviamente non essendo un sociopatico con tendenze sadiche non potrei mai giustificare minimamente quello che quel personaggio quale Osama Bin Laden ha presuntamente fatto.

Facciamo finta... facciamo finta che per un attimo mi metto un benda agli occhi talmente scura e impenetrabile da poter essere accostata solo all'ignoranza.

Facciamo finta che guardiamo il mondo con questa benda e che dunque faccio anche finta che quello che ha fatto Bin Laden, lo ha fatto solo lui per motivi ideologici, senza l'aiuto di nessun personaggio o nazione men che meno occidentale... facciamo anche finta che oggi abbiano veramente ucciso Bin Laden...

Facciamo finta che ogni giorno nelle nostre case, attraverso le nostre tv (per chi le vede ancora), i più vari mezzi di informazione o persino mediante quelli che alcuni ritengono fonti del sapere come i libri, noi non siamo soggetti a un continuo e poco percebile lavaggio del cervello...

Faccio finta di tante cose perchè vorrei capire un po' questo popolo statunitense che si gode così tanto un simile momento... però pur facendo finta di tante cose ancora non riesco ad immedesimarmi... ma allora forse il fatto è che questo popolo o questa cultura che ci ha assorbito e ci sta assorbendo vive nella finzione più completa, forse perciò non basta solo l'ignoranza, forse è necessario riuscire a crearsi un mondo proprio, ma condiviso!!!!! condiviso da una nazione o da una cultura perchè se ci devi credere da solo prima o poi smetti di crederci perchè ti senti pazzo...

allora quando vedi un film al cinema e vedi tutto ad un tratto la bandiera con quelle 50 stelle (saccheggiate qua e là attraverso stermini vari e guerre prive di rispetto dei fondamentali diritti umani cosi tante volte da loro osannati) ti senti che guardi in faccia il bene, il giusto o semplicemente qualcosa che infonde fiducia e sicurezza, ma bene o giusto per chi? fiducia o sicurezza per cosa?

Non abbiamo fatto altro che vedere film sulla seconda guerra e su come i grandi statunitensi abbiano salvato il mondo, come se non l'avessero fatto per il semplice motivo che stalin stava guadagnando terreno nell'avanzata sull' est europa, se fossero stati così moralmente o ideologicamente ineccepibili non ci avrebbero messo tre anni prima di entrare in guerra, ma senza entrare in dettagli, tornando al discorso di prima... come mai vediamo tanti film su questa guerra oppure IL COLMO DEI COLMI film western dove la cavalleria statunitense era vittima dei feroci e spietati indiani. Invece vorrei sapere una cosa... la gente, quanti film ha visto sulla bomba di Hiroshima e Nagasaki; di film su pearl harbor ( dove i giapponesi hanno si, attaccato con l'inganno, ma lo hanno fatto verso forze militari) ce ne sono a bizzeffe, ma film sul dramma delle bombe nucleari? 200000 morti civili in due giorni non è abbastanza alettante per l'industria cinematografica?

Il vietnam? qualcuno ha mai visto in un film americano usare le prime armi biologiche? L'agente Arancio un' arma biologica che veniva gettata per uccidere vietcong che si nascondevano nelle risaie erano letali anche per le donne e bambini che si trovavano lì per la raccolta, ma queste cose non sono mai apparse nei film però dai, almeno abbiamo ben presente come era fatto uno stemma di un agente del'SS e abbiamo giustamente imparato ad averne paura cosa che non è mai successa per altri simboli altrattanto ma più subdulamente pericolosi.

Basicamente la parola giusta oltre a ignoranza e finzione è imparare, perchè noi pensiamo di credere ed efettivamente ci crediamo veramente, ma crediamo in qualcosa che ci è stato imposto, noi crediamo quello che ci hanno insegnato e noi da bravi studenti abbiamo IMPARATO a credere, vivendo in un credo.

Se c'è tanto odio in medio oriente... è possibbile che non ci sia nessun motivo? sono tutti pazzi? abbiamo fatto tutto bene? hanno fatto bene a creare un nuovo stato di Israele in terra altrui solo perchè erano stati li 2000 anni prima (non voglio neanche toccare l'argomento senno non finisco più)? possibile che si abbia una calamita per gli interventi in terra ricca di giacimenti petroliferi? possibile che in Iraq si per ben 2 volte sotto la stessa famiglia, ma in Rwanda no lasciando questo paese solitario protagonista di uno dei genocidi più macabri della storia con 1000000 di morti a colpi di machete e bastoni chiodati? possibile che contemporaneamente in Libia si e in Siria no? abbiamo missili talmente intelligenti che riescono a detectare anche dove c'è il petrolio e dove no?

Forse un altro concetto, forse questo concetto è quello che molti genitori al giorno d'oggi sussurerebbero ai propri figli prima di andare a letto come se fosse la chiave della loro felicità, la mancanza di empatia.

Forse se la gente sapesse vivere con più empatia, ci sarebbe meno ignoranza, ci sarebbe meno finzione e meno voglia di imparare a credere qualcosa che non vedi.

L' empatia vuol dire capire ma anche condividere, condividere spesso dolori e tristezze e la gente oggi ha persino paura di provare la propria felicità figuriamoci se se la sentirebbe di provare emozioni (incluso quelle dolorose) altrui.

La cosa che mi ha più colpito di tutto, ed è alla base di tutto quello che ho scritto fin ora è quel sentimento di festeggiare in tutta libertà e in modo del tutto giustificato (non che io non sia favorevole ad esempio alla pena di morte) la presunta morte di una persona che in realtà per quasi tutti è un simbolo.

Se la gente vuole scendere in strada negli stati uniti ed esporre il cartello: "Obama 1, Osama 0", pieno di felicità sventolando un simbolo che in realtà non gli appartiene, faccia pure, io posso solo condividere la frase di una persona apparsa oggi su facebook: << ...vorrei discretamente esporre un cartello con il numero di civili uccisi da Bin Laden e quelli uccisi nelle guerre sante degli USA: forse smetteremmo di festeggiare.Sì, perché con questa notizia a orologeria il segnale che si vuole dare è chiaro: fare le guerre è giusto, se a uccidere siamo noi. Voi festeggiate, se volete, io non me la sento. Io resto umano>>

Con questa frase chiudo le mie riflessioni dato che sono stanco.

A presto


by Matias Nahuel Lorenzo

14 aprile 2011

Josh T. Pearson - The Last Of The Country Gentlemen











Pearson è un texano ormai non più giovane che un dozzina d'anni fa trovò il modo di farsi notare per The Texas-Jerusalem Crossroads, un album realizzato con il gruppo dei Lift To Experience. Ebbe una buona accoglienza, scaldò il cuore del sempre generoso John Peel ma fu un primo e unico atto; perché Pearson sentì troppo forte la responsabilità di quella specie di successo, ebbe paura di essere finito in un meccanismo stritolante e si tirò da parte. "Avevo ancora bisogno di crescere e diventare un uomo - e non volevo farlo in pubblico".

Il gruppo si sciolse senza altri messaggi e Pearson tornò in Texas accettando i lavori più umili, faticando a sbarcare il lunario. Ma non mise radici, si inquietò, si trasferì prima a Berlino e poi a Parigi sempre inseguendo sogni di musica, con sporadiche esibizioni dal vivo e progetti di album scritti sulla sabbia. A un certo punto la Mute lo adocchiò e gli propose un ritorno come solista, promettendo che lo avrebbe lasciato libero: solo lui e la sua chitarra da pochi dollari, e qualche minimo colore d'archi, senza gli intorcolati arabeschi e il "widescreen wall of sound" che aveva marchiato l'esperienza Lift To Experience. Pearson riluttante disse sì, scommettendo su un album che fosse "completamente onesto, assolutamente sincero e disperato", come intendeva; e in due notti di lavoro a Berlino, ecco queste sette canzoni.

Vale più la storia dell'album, se mi credete, e massimo rispetto per l'onestà sincerità disperazione di questo disarmante umano mentre lo stesso non mi sento di spendere per chi lo ha fatto diventare "il musicista del momento" - siamo sempre nello stucchevole campo del "famolo strano" e "il mio disco è più fuori del tuo". Confesso di avere impiegato un po' a superare la traccia numero 2, l'interminabile Sweetheart I Ain't Your Christ, perché Pearson non si fa problemi di misura e comunicazione; cantare per lui è sfogo, terapia, lo ha confessato senza problemi, "è qualcosa di catartico". Noi però siamo dall'altra parte dei suoi abbandoni, dei suoi slanci mistici, ed è facile che soffriamo le lungaggini (tre pezzi oltre i dieci minuti), il passo lento e soffocante, la monotonia per cui tutti i brani paiono variazioni di una medesima idea. Pearson canta con estatici melismi, mentre la chitarra arpeggia come a seguire la voce su una pista parallela. Non sono canzoni le sue, sono salmi, un personale gospel dai toni più accorati che esaltati; e le parole sgorgano come improvvisate, c'è questa idea di cerimonia spontanea che dal vivo potrebbe essere anche più suggestiva.

Ne ho ascoltata troppa di musica per innamorami di Josh T. Pearson e partecipare all'entusiasmo collettivo. Credo che piaccia la sua "purezza", in odio a tanti artifici della nostra epoca; ma la via dell'inferno è lastricata di purezze, se ben ho capito come vanno le cose. Pearson comunque non sembra puntare all'inferno, né al Paradiso, né a qualunque altra meta. È un tipo saggio. "Volevo fare un album che si bastasse, che stesse bene com'è anche se per dieci anni non ne incidessi più un altro”.

28 febbraio 2011

A Trent Reznor l'Oscar per The Social Network














Trent Reznor e Atticus Ross si sono aggiudicati l'Oscar per la Miglior colonna sonora per The Social Network di David Fincher. Si tratta di una conferma dopo aver già vinto il Golden Globe.

Il leader dei Nine Inch Nails e il collega inglese si sono imposti in una categoria classica con la loro colonna sonora non orchestrale.

"Wow. Sta accadendo veramente? Quando abbiamo finito, eravamo molto soddisfatti del nostro lavoro e contenti anche solo di essere stati coinvolti nel progetto" ha dichiarato dal palco Trent Reznor.

"Per fortuna David Fincher ha avuto un idea molto chiara di quello che voleva - ha detto Reznor dopo la vittoria - l'unico obbligo che ci aveva dato è che non vi fossero strumenti d'orchestra, come in Blade Runner. E' stato sicuramente difficile: non vi erano paesaggi o scene di battaglie, non è stato ovvio per noi che forma avrebbe avuto".

The Social Network si è aggiudicato anche la statuetta per il miglior montaggio e la miglior sceneggiatura non originale.

06 gennaio 2011

Ladies & Gentlemen : The Rolling Stones. Il Nuovo Album



















"Charlie Watts sta seduto come un rospo alla sua batteria, Mick Taylor e Bill Wyman suonano in piedi; Keith Richards ciondola qua e là come uno zombie e Jagger è un uccello, un galletto, un cacatua, una ghiandaia." Su un libro di ricordi rock ho trovato questa esemplare fotografia d'inizio '70, quando gli Stones erano imperatori degli Stati Uniti e riempivano gli stadi con il loro vizioso circo di rock&roll.

Rollin Binzer li catturò in scena nel corso del tour 1972, quello di Exile On Main Street, per un film che non sfruttò il momento magico e quando uscì nei cinema, 1974, ebbe vita stentata - in Italia non credo sia nemmeno mai arrivato. Ora finalmente è stato recuperato, restaurato, arricchito di bonus ed eccolo in DVD; mi verrebbe da dire "nello splendore" (di chissà cosa) ma non lo dico perchè le immagini sono tutt'altro che splendide e glamourous, piuttosto buie invece - gli Stones abitano una penombra carica di minaccia da cui emergono con gli spilli & artigli della loro musica più matura. Non so se fu una scelta o un deficit di mezzi, certo che quel buio è intonato alle canzoni; che non sono più gli inni beat della prima tempesta ormonale ma i tormenti, gli sfoghi, le insolenze da Beggar's Banquet in avanti, da Jumpin' Jack Flash a Love In Vain, da Street Fighting Man a Gimme Shelter.

Chi si è goduto la ristampa extended di Exile qui troverà la conferma dal vivo, con l'energia straordinaria di tutti e la stretta al cuore che dà Mick Taylor ancora arcangioletto e ancora ispirato, con la sua chitarra blues che forse per l'ultima volta trova il doveroso spazio. La scena comunque la ruba Jagger, e figuriamoci!, il cacatua che cambia piumaggio tutte le volte che gli gira e, tra bolerini di raso e giacche di lamè, sciarpe, lustrini e occhi bistrati impartisce una convincente lezione di teatro rock riuscendo a riempire sia gli occhi sia le orecchie.